Quando andare dallo psicologo

26 giugno 2020

Quando andare dallo psicologo

Una delle domande più frequenti che ci vengono poste non riguarda solo quando iniziare un percorso psicologico, ma anche che cosa si troverà una volta iniziata questa esperienza.

Il percorso di sostegno psicologico è simile ad un viaggio fatto di parole, di silenzi, di salti in avanti e di arresti improvvisi. Come tutti i viaggi anche questo inizia con la scelta di voler prendere e partire verso una certa destinazione.

Quando iniziare un percorso psicologico?

Non è facile rispondere a questa domanda, specialmente perché le motivazioni che possono spingere a iniziare questa esperienza sono diverse e personali. C’è chi arriva a questa scelta piano piano calibrando con molta attenzione pro e contro. Chi invece un certo giorno si dice “Basta, ora chiamo”.

Per quali difficoltà è utile iniziare un percorso psicologico?

Questa domanda risulta essere complessa. E’ un pò come se ti chiedessi che “Cosa è che ti fa stare male?”. La tua risposta sarà necessariamente diversa da quella di un’altra persona, o da quello che potrei rispondere io stessa. Le risposte saranno diverse proprio perché sono diverse le tematiche per cui sentiamo o proviamo dolore, o per le quali vorremmo “vederci più chiaro”. C’è chi intraprende questo viaggio perché non sa come rialzarsi dopo la fine di un amore, chi  si chiede come mai lo ferisca ancora, dopo tanto tempo, rivedere un ex. C’è chi arriva perché sente che “qualcosa non gira nel verso giusto”.

Cambiamo prospettiva: non si chiede solo aiuto

Nel nostro immaginifico mettersi nella posizione di colui che richiede aiuto può far nascere pensieri come ”sono un debole, non riesco a farcela da solo…”, per citarne alcuni. Certo, andare da qualcuno a parlare delle proprie difficoltà, problemi o momenti bui non è facile, ma varcare quella porta può essere anche un modo per dire “Voglio vederci più chiaro, desidero capire come posso stare meglio”. 

Se la vediamo in questo modo sarà più facile superare l’immagine del “debole” per assumerne un’altra, quella della persona che agisce consapevolmente per cercare di raggiungere il proprio benessere.

La relazione aiuta

Psicoanalisti, cognitivisti, analisti transazionali, sistemici. Per chi non è del mestiere o per chi non compie un’attenta ricerca sui vari orientamenti queste parole possono avere poco senso. Il professionista giusto non si riconosce a prima vista da un cartello sulla testa. Ogni approccio ha i suoi strumenti (chi non associa la figura del terapeuta al lettino alzi la mano) o le sue modalità per porre domande, sollevare riflessioni o rispettare i silenzi. Quello che dovrebbe fare la differenza è la qualità della relazione che nasce tra professionista e paziente. Parliamo infatti di relazione, in cui ognuno “porta del suo”. Il professionista porta con sè la sua capacità di entrare in empatia con la persona, il suo essere esperto della teoria e della tecnica, la sua capacità di assumere un atteggiamento supportivo e collaborativo. Il paziente porta con sé la sua capacità di riflettere sulle questioni, la sua motivazione e ciò che si aspetta di voler raggiungere con il percorso.

Varcare la porta. Sedersi. Parlare. Sono azioni semplici, che solitamente non provocano paura e tensione.  Tuttavia, quando sulla porta leggiamo la targhetta “studio psicologico” tutto assume un’altra colorazione. 

In quel momento varcare la porta diventa il preludio alla domanda “di che cosa parlerò oggi?”. Sedersi significa fermarsi, prendersi del tempo per “stare” dentro a ciò che viviamo ogni giorni oppure per parlare della nostra storia e di ciò che abbiamo vissuto nel passato. Narrare se stessi si tinge di tante sfumature diverse: a volte sentiamo che un certo argomento ci fa apparire vulnerabili, di altri temi invece sappiamo che non ne vogliamo assolutamente parlare, su altri ancora non vediamo l’ora di confrontarci.

“Smarrirsi è l’unico posto in cui valga la pena di andare”.  Roberto Ferrarese

Veronica Benetti
Dott.ssa Veronica Benetti
Psicologa, Equipe Intrecci